IL PONTE DI CECINA
gli Anne e Santa Maria del Mansio

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Nel 1283 fu redatta una pergamena riguardante la zona del “Ponte di Cecina”, quella, per intendersi, che molto tempo dopo, a causa di un rapido popolamento, sarà il primo nucleo della cittadina di Cecina in provincia di Livorno.


La carta ricorda terra e case “in confinibus pontis Cecine”, usando un termine – ‘nei confini’ – che in generale indicava un distretto vero e proprio consolidatosi nel tempo.
Ovvero sul fiume si trovava un piccolo centro legato a un ponte rimasto tuttavia un po’ misterioso per gli studiosi che hanno discusso a lungo circa la sua forma e a volte sull’esistenza nel medioevo. Il Repetti nel Dizionario (sec. XIX) lo dice “navalestro” nel 1204, cioè mobile, costituito da barche. Galoppini ne I Ponti medievali ne cita uno di legno costruito a partire dagli Statuti del 1287 (XII - “De ponte Cecine ... fieri et aptare faciemus”) e finito nel 1340.
La pergamena del 1283 quindi lo retrodata, a meno che non si tratti solo di un resto toponomastico (che non crediamo). E ricorda qui i possessi e i diritti dell’antica abbazia di Santa Maria del Mansio, fondata dai benedettini forse presso una stazione viaria romana detta appunto “mansio”, e documentata già nell’VIII secolo durante il dominio lucchese di parte della “Marictima” (Maremma).
Nel 1257 l’abbazia era passata ai monaci vallombrosani che avevano rifatto la chiesa e risistemato i loro beni e la zona circostante (Repetti). Il che fa pensare che tutto il territorio allora fosse ritenuto di pregio per il traffico marittimo e il passaggio di uomini e animali. Se ne interessarono pure le autorità di Pisa (cfr. gli Statuti citati) negli anni del contenzioso con Genova per il predominio del mare – il 6 agosto 1284 le due flotte si sarebbero affrontate alla Meloria con gli esiti che sappiamo.


Ugualmente vi avevano avauto dei progetti sopra i nobili cittadini di Pisa. Era il caso degli “Anne” o “di Anna”, dei banchieri (prestatori) che erano stati nel 1240 legati alla Sardegna e ai suoi traffici (Besta, La Sardegna). Nell’atto del 1283 fecero infatti scrivere una inusuale richiesta di ratifica di un avvenimento precedente.

ll testo inizia: con questo pubblico strumento “clareat lectione quod ...” (sia chiaro nella lettura che ...). E prosegue con il notaio che fa una dichiarazione per conto di Francesco Anne del fu Iacobo Anne, rivolgendosi a Iacobo Anne del fu Michele Anne (il cugino?).
L’oggetto era proprio la metà del pezzo di terra sopracitato con sede e pertinenze al Ponte di Cecina.


I suoi confini erano così scritti: un capo “in strada” pubblica, l’altro capo a Le Venelle, un lato in parte nella terra che l’ospedale di San Leonardo di Stagno teneva dalla suddetta chiesa (lo spedale di Linaglia) e in parte nel fiume Cecina, e il secondo lato nella via Carrareccia per la quale si andava “ad Macchias”, cioè alle Macchie *.

Questa metà era stata venduta il 27 giugno 1244, su consiglio e parola di dom Ildebrandino monaco e camarlingo del monastero, da dom Bernardo abate al padre di Iacobo, il fu Michele “bancherius” di Pisa figlio del fu Enrico Anne, presente e ricevente per sé e per Iacobo suo fratello carnale anch’egli figlio di Enrico (e forse padre di Francesco). Notaio era stato Alberto del fu Ildebrandino Alberti.
Ugualmente era avvenuto per la metà degli edifici e case sopra la terra, per i quali Iacobo (di Michele), “ut dicit”, aveva fatto ricevuta a dom Alberto abate per rogito di Ardovino notaio di Bibbona (purtroppo non datato).

L’insolito testo della transazione, nonostante il “clareat”, fornisce in realtà poche altre notizie e non molto illuminanti. Si può pensare tuttavia che la famiglia in vista di buoni affari al Ponte di Cecina, da ricostruire o restaurare, desiderasse mettere per scritto dei diritti acquisiti piuttosto vantaggiosi.
Il notaio, un terzo personaggio di nome Iacobo – ma del fu Casanova di Travalda –, infatti precisa di fare la “consentionem, confermationem et ratificationem nomine et vice” di dom Alberto venerabile abate. E prosegue:

“Et taliter supradictus Franciscus hanc in carta me Iacobum notarium scribere rog(avit)”: e in tal modo il sopradetto Francesco ha chiesto, a me Iacobo notaio, di scrivere questa cosa nella carta.

Rogò la pergamena a Pisa nell’abitazione dello stesso Francesco nella cappella di San Nicola, presenti Gano stagnataio del fu Savino, Boccio figlio di Lanfranchino Bocci e Ioannetto del fu Michele.


Paola Ircani Menichini, 16 aprile 2021.
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RICONOSCIMENTI


Le fotografie


– Il Ponte di Cecina in una cartolina del secolo scorso.

– Disegno di fine ottocento del Ponte di Cecina al Fitto Vecchio (proprietà di L. Ginori Lisci, La prima colonizzazione..., 1987).

– Il brano della pergamena del 1283 che ricorda i confini “Pontis Cecine”.

– Il Ponte sul fiume Cecina oggi; più lontano, verso il mare, il ponte della ferrovia, da Google Street View.


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